In un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, patrocinato dall’ Avv. Alessio Orsini, è stata emessa ordinanza di sospensione della provvisoria esecuzione in ragione dei gravi motivi attinenti ai profili di nullità della fideiussione.
In particolare, il Tribunale, ha dapprima specificato come, “il contratto dedotto in giudizio dalla creditrice opposta è una fideiussione e non una garanzia a prima richiesta (o contratto autonomo di garanzia), perché il regolamento negoziale non contiene una clausola che escluda la facoltà del garante di opporre al creditore le eccezioni spettanti al debitore principale, in deroga all'art. 1945 cc; sicchè non vi è quella elisione dell’accessorietà dell’obbligazione del garante rispetto all’obbligazione garantita, che connota indefettibilmente la garanzia a prima richiesta”.
Dopodiché, ha correttamente rilevato come, “la clausola ex art. 6 del contratto di fideiussione - contenente la deroga all’art. 1957 cc in merito all’onere di agire contro il fideiussore entro sei mesi dalla scadenza dell’obbligazione principale - costituisce applicazione dell’art. 6 dello schema contrattuale predisposto dall’A.B.I. in violazione dell’art. 2, l. n. 287/1990; è dunque ravvisabile una nullità parziale della fideiussione, perché all’invalidità dell’intesa anticoncorrenziale si accompagna l’invalidità della pattuizione ‘a valle’ (cfr. Cass. n. 24044/2019 e Cass. n. 29810/2017)”.
Da ultimo, il G.I., dopo aver constatato che, “entro sei mesi dalla scadenza dell’obbligazione principale il creditore non prese iniziative di tutela giurisdizionale, in via di cognizione ovvero di esecuzione, dirette a conseguire il pagamento”, ne ha dedotto che, “si profila dunque la relativa decadenza del creditore dal diritto di pretendere l’adempimento dell’obbligazione, per mancata tempestiva proposizione delle azioni contro il debitore principale”.
Condanna della Banca per responsabilità aggravata c.d. “lite temeraria” nei confronti di una società edile del Veneto e dei fideiussori. Questo è il risultato raggiunto dallo Studio Legale Alessio Orsini, esperto in diritto bancario e finanziario, con la sentenza del 06 Ottobre 2020.
La Banca aveva richiesto un decreto ingiuntivo di € 87.101,76. A seguito di opposizione e ricalcolo ordinato dal Giudice del Tribunale di Vicenza, il conto corrente è passato da negativo a positivo. Infatti si è arrivati ad avere un saldo a favore del correntista pari ad € 276.485,40 (€ 336.798,64 comprensivo di interessi attivi da parte della banca).
Lite Temeraria
Nella Sentenza, la Banca viene condannata non solo a rimborsare le classiche spese di giudizio, ma anche quelle per c.d. “lite temeraria”. Infatti secondo la sentenza non ha agito con la normale prudenza. Ha aggravato altresì il proprio comportamento con una illegittima segnalazione a sofferenza presso la Centrale Rischi della Banca D’Italia e con ipoteche giudiziali.
Non è infrequente che le Banche, in virtù della propria posizione di forza, pongano in essere azioni del tutto ingiustificate. Infatti confidano il più delle volte in una sottomissione, ossia in una non reazione delle controparti.
Nel caso di specie, è immaginabile come i rappresentati della Banca abbiano sottoposto i protagonisti della vicenda ad un notevole stress.
Difatti, la revoca dei rapporti bancari, la segnalazione a sofferenza presso la Centrale Rischi e le plurime ipoteche iscritte su tutti i loro beni, hanno stravolto l’esistenza stessa di chi ha subito tali azioni.
Un danno subito, quindi, non solo di natura patrimoniale, ma anche psicologico e di cui spesso non si parla in questi casi.
Ecco perché la pronuncia rappresenta un passaggio fondamentale nel contenzioso bancario. Infatti viene riconosciuta una “colpa grave” nei confronti di una Banca che non ha agito con la “normale prudenza”. Addirittura pur se “ripetutamente avvertita (e diffidata)”.
Questo risultato restituisce dignità e speranza a chi, per tanti anni, ha patito ingiusti soprusi, con l’aspettativa che possa essere di aiuto per tanti altri casi similari che purtroppo non sono infrequenti.
La vicenda
Il caso giudiziario riguarda una società edile Veneta, composta da padre, madre e dai due figli, che venne a suo tempo aggredita, unitamente ai fideiussori, da una BCC del territorio, mediante un decreto ingiuntivo di circa € 87.000,00, derivante dall’asserito saldo debitore di un conto corrente, poi rivelatosi inesistente, anzi positivo in favore del correntista per € 276.485,40 (€ 336.798,64 comprensivo di interessi attivi).
Nonostante la Banca avesse ottenuto in corso di rapporto ipoteche volontarie per un valore notevolmente superiore alla asserita esposizione, una volta che ottenne il decreto ingiuntivo iscrisse ipoteca giudiziale su tutti gli immobili delle persone fisiche.
Ad aggravare il tutto, vi fu la segnalazione a sofferenza presso la Centrale Rischi della Banca D’Italia, che comportò l’effetto domino con gli altri istituti di credito, i quali a loro volta risolsero i rapporti e che determinò altresì l’impossibilità di accesso al credito, sia per la società che per i garanti.
L’impresa Veneta ed i fideiussori si opposero all’ingiunzione, mediante il patrocinio dell’Avv. Alessio Orsini, il quale antecedentemente al giudizio, tentò (vanamente), a mezzo di diffide e procedure di mediazione, di comporre bonariamente il giudizio.
Solo all’esito del giudizio di opposizione, la società correntista e i fideiussori hanno trovato accoglimento alle proprie legittime doglianze.

La decisione
In corso di causa, venne espletata CTU sul rapporto di conto corrente che portò ad un saldo positivo, ossia a favore della correntista per € 276.485,40 (€ 336.798,64 comprensivo degli interessi attivi).
In buona sostanza, il Tribunale, in accoglimento delle contestazioni sollevate dagli opponenti, ha ritenuto non solo non sussistere alcun debito della società, ma addirittura un saldo positivo del conto corrente, il che ha comportato la revoca integrale dello stesso, nonché la condanna alla cancellazione della illegittima segnalazione a sofferenza.
Difatti, il rapporto di conto corrente si fondava su un contratto avente il rinvio delle condizioni economiche (interessi e spese), a quelli che erano gli usi su piazza, ossia condizioni del tutto indeterminate.
Oltre a ciò, il Tribunale ha accertato l’illegittima pratica anatocistica e il difetto probatorio di mancata produzione di tutta la serie iniziale degli estratti conto, che ha comportato il ricalcolo al c.d. “saldo zero”.
Un importante principio è stato espresso anche con riferimento all’avversa eccezione di prescrizione, poiché il Tribunale ha ritenuto che il conteggio dovesse avvenire sul saldo ricalcolato, in ottemperanza a quanto disposto dalla Cassazione con Sentenza n. 9141 del 2020.
La condanna della Banca per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c. ossia per c.d. “lite temeraria”
Il Tribunale ha dato rilevanza alle plurime diffide che gli opponenti, per il tramite del patrocinio dell’Avv. Alessio Orsini, inviarono alla Banca prima dell’azione per decreto ingiuntivo.
Difatti, la Banca, in quanto “operatore professionale”, avrebbe dovuto sapere benissimo che l’azione giudiziale che si apprestava a porre in essere si palesava quale del tutto temeraria, sia con riferimento al materiale probatorio e sia con riferimento alle nullità contrattuali.
Oltre a ciò, il Tribunale ha rilevato come la segnalazione a sofferenza presso la Centrale Rischi della Banca D’Italia e l’iscrizione di plurime ipoteche giudiziali per un debito “che si è rivelato palesemente insussistente”, abbiano ingiustamente aggravato la posizione della società e dei fideiussori.
Ecco perché il Tribunale ha stigmatizzato l’azione giudiziaria intrapresa dalla Banca, poiché “non poteva non essere consapevole” di agire in maniera non corretta.
Per l’importanza dei principi espressi si riporta integralmente il punto della Sentenza:
“V. Condanna ex art. 96 c.p.c. E’ da accogliersi anche la richiesta di condanna ex art. 96 c.p.c. proposta dagli opponenti in quanto la Banca ha agito in via monitoria (e resistito nella presente fase di opposizione) con colpa grave. L’opposta, infatti, non poteva non essere consapevole della lacunosità della documentazione del conto corrente per il cui saldo passivo domandava ingiunzione, sia per un elementare principio di vicinanza della prova, sia perché ripetutamente avvertita (e diffidata) dagli opponenti. E’ fatto notorio, d’altra parte, e vieppiù dovrebbe esserlo per un operatore professionale come una Banca, che i contratti con clausole c.d. “uso piazza” non siano validi e che la mancanza della serie completa degli estratti conto comporti l’applicazione della regola del c.d. “saldo zero” a favore del correntista. Appare nella presente fattispecie evidente come la Banca abbia agito in monitorio non osservando quella normale prudenza che, al contrario, avrebbe dovuto osservare e che abbia aggravato la posizione degli opponenti con la segnalazione a Centrale Rischi della società e l’ipoteca giudiziale (per l’importo di € 150.000) iscritta contro i fideiussori, per un debito che si è rivelato palesemente insussistente.In conclusione appare equo condannare l’opposta ex art. 96 c.p.c. al pagamento, a favore degli opponenti, dell’importo complessivo di € 5.000”.
Con l’ordinanza del 08.09.2020 resa nell’ambito di un giudizio di opposizione all’esecuzione ex art. 615 I° co. c.c., il Tribunale di Macerata in accoglimento della domanda cautelare spiegata dalla società precettata, ha ritenuto “fondata la contestazione sull’insussistenza del diritto del creditore di procedere ad esecuzione forzata in forza del dedotto carattere condizionato del contratto di mutuo costituente il titolo esecutivo azionato; pur non ignorandosi il principio costantemente espresso anche in sede di legittimità, a mente del quale “il conseguimento della giuridica disponibilità della somma mutuata da parte del mutuatario, può ritenersi come equipollente della traditio, nel caso in cui il mutuante crei un autonomo titolo di disponibilità della somma dal proprio patrimonio e l’acquisizione della medesima al patrimonio di quest’ultimo (cfr. Cass. n. 17194 del 2015), va rilevato che nel caso di specie ciò non è avvenuto al momento della stipula del contratto.
Non risulta infatti dall’estratto di conto corrente del trimestre settembre-dicembre 2007 prodotto dall’opponente né l’accredito dalla Banca al cliente, né la successiva costituzione del deposito cauzionale infruttifero (cfr. doc. n. 2 di parte opponente); l’accredito sul conto corrente indicato nel contratto è avvenuto soltanto in epoca successiva al contratto detto, in data 2.4.2008, (v. doc. n.3), distanza quindi di oltre tre mesi dalla stipula notarile”.
Con provvedimento del 02.07.2020 il Tribunale di Venezia, preso atto della adesione della Banca all’eccezione di incompetenza territoriale formulata dall’opponente, ha revocato il decreto ingiuntivo e disposto la cancellazione della causa dal ruolo.
Per il momento, quindi, la Banca ingiungete che aveva ottenuto la provvisoria esecuzione in sede monitoria, è al momento sprovvista di qualsivoglia titolo per promuovere una esecuzione nei confronti dell’ opponente.
Con la Sentenza in commento, emessa all’esito di un giudizio introdotto ex art. 616 c.p.c., il Tribunale di Ferrara, rilevando l’inidoneità del mutuo a costituire titolo esecutivo ex art. 474 c.p.c., dichiara non sussistere il diritto della Banca a procedere con l’esecuzione forzata.
Il pronunciamento riveste notevole importanza poiché l’opponente ha contestato la circostanza dedotta dalla Banca di aver costituito la somma mutuata in un deposito cauzionale infruttifero, motivo per cui al momento del rogito non si era verificata alcuna traditio, nemmeno sottoforma di messa a disposizione giuridica di una somma.
In particolare, il Tribunale ha rilevato come “non è possibile ritenere provata, attesa la contestazione dell’opponente, la costituzione, per accordo della banca e della società o comunque su disposizione di quest’ultima, del deposito cauzionale infruttifero, che nella ricostruzione della convenuta sarebbe stato costituito proprio con il denaro ricevuto dalla società a titolo di mutuo”.
Quanto poi alla valenza della quietanza di ricezione contenuta nel contratto di mutuo, ha osservato come “si deve ritenere che la quietanza contenuta nell’atto notarile abbia ad oggetto un fatto non corrispondente alla verità processuale e che l’importo sia stato dunque messo a disposizione della mutuataria solo dopo la sottoscrizione del contratto di mutuo, il quale pertanto, come affermato dall’attrice, non può costituire valido titolo esecutivo”.
Con la Sentenza in commento la Corte D’Appello di Venezia ha dichiarato inammissibile l’appello spiegato dalla Banca poiché notificato tardivamente.
In particolare, nel caso di specie, la Banca aveva effettuato una prima notifica tempestiva che però non andava a buon fine a causa del cambiamento dell’indirizzo del procuratore costituito, appartenente al medesimo Foro del procuratore dell’appellante.
Sul punto, la Corte ha richiamato la consolidata Giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, per la quale l’eventuale difetto di notificazione “sia imputabile allo stesso notificante, che non ha assolto all’onere di diligenza, sullo stesso gravante, del preventivo controllo dell’albo professionale, con conseguente inammissibilità dell’appello tardivamente proposto”, con la precisazione che, “Invero, la legge professionale impone a procuratore di comunicare i successivi mutamenti del proprio domicilio soilo nel caso di svolgimento di attività difensiva al di fuori del proprio distretto, mentre, in ambito locale, le esigenze processuali riconnesse alla conoscenza del domicilio del procuratore sono soddisfatte relative annotazioni nell’albo professionale”.
Pertanto, “In difetto del requisito della non imputabilità al notificante del mancato perfezionamento della notifica, non vi è luogo onde applicare i principi elaborati in giurisprudenza in tema di immediata ripresa del procedimento notificatorio…né vi è spazio per invocare la rimessione in termini ex art. 153, secondo comma c.p.c., che presuppone pur sempre che la parte sia incorsa in decadenza per causa ad essa non imputabile”.
Con la Sentenza in commento la Corte D’Appello di Venezia ha dichiarato inammissibile l’appello spiegato dalla Banca poiché notificato tardivamente.
In particolare, nel caso di specie, la Banca aveva effettuato una prima notifica tempestiva che però non andava a buon fine a causa del cambiamento dell’indirizzo del procuratore costituito, appartenente al medesimo Foro del procuratore dell’appellante.
Sul punto, la Corte ha richiamato la consolidata Giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, per la quale l’eventuale difetto di notificazione “sia imputabile allo stesso notificante, che non ha assolto all’onere di diligenza, sullo stesso gravante, del preventivo controllo dell’albo professionale, con conseguente inammissibilità dell’appello tardivamente proposto”, con la precisazione che, “Invero, la legge professionale impone a procuratore di comunicare i successivi mutamenti del proprio domicilio soilo nel caso di svolgimento di attività difensiva al di fuori del proprio distretto, mentre, in ambito locale, le esigenze processuali riconnesse alla conoscenza del domicilio del procuratore sono soddisfatte relative annotazioni nell’albo professionale”.
Pertanto, “In difetto del requisito della non imputabilità al notificante del mancato perfezionamento della notifica, non vi è luogo onde applicare i principi elaborati in giurisprudenza in tema di immediata ripresa del procedimento notificatorio…né vi è spazio per invocare la rimessione in termini ex art. 153, secondo comma c.p.c., che presuppone pur sempre che la parte sia incorsa in decadenza per causa ad essa non imputabile”.
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Nell’ambito di una opposizione all’esecuzione e agli atti esecutivi, il Tribunale di Belluno, con ordinanza del 19.06.2020, emessa in sede cautelare, ha disposto la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo, nel caso di specie un mutuo fondiario, ritenendo fondata l’eccezione inerente il superamento del limite di finanziabilità.
In particolare, aderendo a quanto già disposto dalla Corte D’Appello di Venezia ed alla più recente giurisprudenza di Legittimità, ha valorizzato quanto emerso dalla perizia di stima dimessa dall’opponente, ritenendo sussistere “i gravi motivi previsti dall’art. 615 c.p.c. per sospendere in via cautelare l’efficacia esecutiva del titolo, in considerazione del fatto che non risulta notificato il titolo esecutivo e del fatto che le difese di parte opponente in relazione al valore dell’immobile all’epoca della concessione del mutuo, supportate da una perizia di stima, non sono state specificamente contraddette dalla convenuta”.
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L’ordinanza del Tribunale di Roma del 11.05.2020 è di notevole interesse perché, oltre a ribadire importanti principi in tema di illegittima segnalazione a sofferenza, ovvero, rilevanza del preavviso e della preventiva istruttoria sull’insolvenza, individua il periculum in mora nel mancato accesso alle “misure emergenziali previste dal D.L. 17/2020 e poi dal D.L. 23/2020 a sostegno delle imprese ed alla moratoria nel pagamento delle rate di mutuo”.
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Il Tribunale di Grosseto in composizione Collegiale ha rigettato il reclamo spiegato dalla Banca avverso la sospensione della procedura esecutiva già disposta dal Giudice dell’esecuzione e lo ha fatto rilevando come “la banca non erogò alcunché al mutuatario all’epoca della stipula del contratto”, poiché “il primo accredito risulterebbe avvenuto…due settimane dopo la stipula del mutuo in cui si dava atto dell’immediata erogazione della somma di denaro al cliente” e quindi, “Al momento della stipula del contratto azionato quale titolo esecutivo, pertanto, non risulta perfezionatasi alcuna interversione nella disponibilità giuridica del denaro oggetto di mutuo, giacché non vi fu alcuna immediata fuoriuscita della somma dal patrimonio della banca con ingresso nel patrimonio del cliente”.
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Con Sentenza del 07.01.2020 il Tribunale di Milano a decisione di una opposizione a decreto ingiuntivo spiegata dalla società correntista e dal fideiussore, ha espresso importanti principi a presidio degli utenti bancari.
In conseguenza della rilevata usura pattizia è stato disposto l’azzeramento degli interessi ex art. 1815 II° co. c.c.
Per ciò che concerne la fideiussione, il Tribunale ha dichiarato che, il decorso del termine contrattuale di 36 mesi per intraprendere azioni giudiziali ha “comportato l’estinzione della garanzia
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